Immobili Collabenti (Categoria F/2)


’attribuzione della categoria F/2 è regolamentata dal decreto del Ministro delle Finanze 2 gennaio 1998, n. 28, art. 3, comma 2, per quelle costruzioni caratterizzate da un notevole livello di degrado che ne determina una incapacità reddituale temporalmente rilevante.

In particolare, il citato comma 2 prevede che tali costruzioni, ai soli fini dell’identificazione, “possono formare oggetto di iscrizione in catasto, senza attribuzione di rendita catastale, ma con descrizione dei caratteri specifici e della destinazione d’uso”.

Dichiarazioni in catasto di Unità Collabenti (categoria F/2)

Per tali immobili sussiste quindi la possibilità e non l’obbligo di dichiarazione in catasto, con procedura Docfa. Ai fini delle dichiarazioni di unità collabenti il professionista, redattore della dichiarazione su incarico della committenza, oltre a redigere una specifica relazione, allega ogni utile documentazione:

  • attestante le condizioni di inagibilità di un fabbricato in precedenza esistente; al riguardo è ritenuta idonea anche quella eventualmente rilasciata dal competente ufficio comunale;
  • riportante, anche mediante documentazione fotografica, lo stato dei luoghi, con particolare riferimento alle strutture, alle dotazioni tecnologiche e allo stato di conservazione del manufatto.
  • Per le dichiarazioni in catasto, tali unità devono essere individuate esclusivamente nell’elaborato planimetrico (V. circolare n. 9/2001 e successive disposizioni).

Come richiamato nella normativa citata, l’iscrizione nella categoria F/2 prevede la presenza di un fabbricato che abbia perso del tutto la sua capacità reddituale; ne consegue che la stessa categoria non è ammissibile, ad esempio, se l’unità che si vuole censire, risulta ascrivibile in altra categoria catastale, ovvero, non è individuabile e/o perimetrabile.

Costruzioni non individuabili né perimetrabili (categoria F/2)

Si considerano non individuabili né perimetrabili, le costruzioni ed i manufatti:

A.      privi di pavimentazione, indipendentemente dallo stato manutentivo e dai materiali utilizzati;

B.      delimitati da muri che non abbiano almeno l’altezza di un metro.

In assenza dei requisiti sopra riportati, non è ammessa la dichiarazione al catasto fabbricati, in categoria F/2, degli immobili censiti al catasto terreni come: 280 “fabbricato diruto”; 281 “fr div sub”; 277 “fa div sub”; 278 “fabb promis”; 279 “fabb rurale”; 283 “fu d accert”; 284 “porz acc fr”; 285 “porz acc fu”; 286 “porz di fa”; 287 “porz di fr”; 288 “porz rur fp”; 290 “porz di fu”.

Indicazioni per l’accatastamento:

Occorre in proposito fare riferimento alle modalità semplificate per la denuncia delle costruzioni di scarsa rilevanza cartografica o censuaria di cui all’art. 7 del D.M. 28/1998, ed all’art. 6, comma 1, lettera c) del medesimo decreto, secondo il quale tali modalità possono essere utilizzate anche per “le costruzioni non abitabili o agibili e comunque di fatto non utilizzabili, a causa di dissesti statici, di fatiscenza o inesistenza di elementi strutturali e impiantistici, ovvero delle principali finiture ordinariamente presenti nella categoria catastale, cui l’immobile è censito o censibile, ed in tutti i casi nei quali la concreta utilizzabilità non è conseguibile con soli interventi edilizi di manutenzione ordinaria o straordinaria. In tali casi alla denuncia deve essere allegata una apposita autocertificazione, attestante l’assenza di allacciamento alle reti dei servizi pubblici dell’energia elettrica, dell’acqua e del gas”.
Pertanto la pratica di accatastamento con il software DOCFA, sia per nuova costruzione che per variazione, sarà priva dei modelli 1N prima e seconda parte e priva di planimetria, ma in aggiunta bisognerà:

  • redigere specifica relazione riportante lo stato dei luoghi, con particolare riferimento alle strutture ed allo stato di conservazione del manufatto, accompagnata da idonea documentazione fotografica;
  • allegare autocertificazione del proprietario in merito all’assenza di allacciamento gas, acqua ed energia elettrica.

Va infine richiamata la Circolare dell’Agenzia del Territorio 26/11/2001, n. 9/T, la quale specifica che per le unità ascrivibili alle categorie “fittizie” (F/1 – area urbana, F/2 – unità collabenti, F/3 – unità in corso di costruzione, F/4 – unità in corso di definizione ed F/5 – lastrico solare) la presentazione delle planimetrie non è mai prevista, ma bisogna redigere solamente l’elaborato planimetrico, anche se trattasi di un’unica unità immobiliare.

In caso di compravendita e dichiarazioni catastali:

L’art. 19 del D.L. 31/05/2010, n. 78 prevede come noto che gli atti pubblici o scritture private aventi ad oggetto diritti reali su fabbricati, a pena di nullità, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale.
A tal proposito la Circ. Ag. Territorio 09/07/2010, n. 2 ha chiarito che sono esclusi dall’obbligo, tra gli altri, i fabbricati iscritti in catasto come “unità collabenti”, in quanto non più abitabili o servibili all’uso cui sono destinati.

Interventi edilizi:

La ricostruzione di un rudere non può essere tecnicamente considerata un intervento di “demolizione e ricostruzione” (che rientra nella categoria degli interventi di “ristrutturazione edilizia” ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. 380/2001), ma può ugualmente rientrare nel concetto di “ristrutturazione edilizia” poiché la stessa comprende anche “interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”.
Peraltro la giurisprudenza è in proposito conforme nel ritenere che detta disposizione fa esclusivo riferimento ad edifici completamente realizzati e poi caduti in rovina. Si tratta dunque di una fattispecie completamente diversa e non assimilabile al completamento di un edificio assentito e poi non portato a termine, ipotesi nella quale, trattandosi di completare un’opera che rientra indiscutibilmente nella categoria della nuova costruzione, il titolo edilizio necessario per procedere al completamento dell’intervento è il permesso di costruire e non la SCIA. Si veda in proposito TAR Toscana 12/12/2017, n. 1559.
La presenza di prove certe che consentano di verificare la consistenza preesistente dell’edificio è pertanto indispensabile per poter qualificare l’intervento di ricostruzione come ristrutturazione edilizia e quindi per poterlo eseguire tramite presentazione della SCIA. In difetto – come spiegato chiaramente anche con le sentenze Cass. 30/09/2014, n. 40342 e Cass. 08/10/2015, n. 45147 – l’intervento va qualificato come nuova costruzione e va pertanto richiesto il permesso di costruire.
Si ricorda poi che il citato art. 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. 380/2001 dispone che “con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli (…) gli interventi di (…) ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente”. Con riferimento agli immobili non vincolati resta invece l’unico limite di rispettare la preesistente volumetria dell’edificio oggetto di ricostruzione.
Alla luce di quanto chiarito, è appena il caso di segnalare che in nessun caso un fabbricato “collabente” può essere oggetto di interventi di “manutenzione ordinaria” o “manutenzione straordinaria” o “restauro e risanamento conservativo” (art. 3 del D.P.R. 380/2001, comma 1, lettere a), b) e c), dal momento che queste categorie di intervento postulano la preesistenza di un organismo edilizio ultimato ed operativo, di cui si intende conservare o rinnovare la funzionalità.

Agevolazioni in caso di ristrutturazioni e di risparmio energetico

Le agevolazioni in parola presuppongono l’intervento su un edificio “preesistente”. A tale proposito l’Agenzia delle entrate, con la Risoluzione n. 215/E del 12/08/2009, ha chiarito che “la condizione di inagibilità del fabbricato conseguente agli eventi sismici, da cui deriva la classificazione catastale di unità collabente (F/2), non esclude che lo stesso possa essere considerato come edificio esistente, trattandosi di un manufatto già costruito e individuato catastalmente, seppure non suscettibile di produrre reddito”.
Quanto invece in maniera più specifica agli interventi finalizzati al risparmio energetico, questi presuppongono in alcuni casi che gli edifici presentino specifiche caratteristiche (per esempio, essere già dotati di impianto di riscaldamento, presente anche negli ambienti oggetto dell’intervento, tranne quando si installano pannelli solari). Per determinare il soddisfacimento del requisito in questione, la medesima Risoluzione n. 215/E del 12/08/2009 ha chiarito che occorre fare riferimento al D. Leg.vo 192/2005, il quale al punto l-tricies) dell’art. 2 definisce “impianto termico” come “impianto tecnologico destinato ai servizi di climatizzazione invernale o estiva degli ambienti, con o senza produzione di acqua calda sanitaria, indipendentemente dal vettore energetico utilizzato, comprendente eventuali sistemi di produzione, distribuzione e utilizzazione del calore nonché gli organi di regolarizzazione e controllo. Sono compresi negli impianti termici gli impianti individuali di riscaldamento. Non sono considerati impianti termici apparecchi quali: stufe, caminetti, apparecchi di riscaldamento localizzato ad energia radiante; tali apparecchi, se fissi, sono tuttavia assimilati agli impianti termici quando la somma delle potenze nominali del focolare degli apparecchi al servizio della singola unità immobiliare è maggiore o uguale a 5 kW. Non sono considerati impianti termici i sistemi dedicati esclusivamente alla produzione di acqua calda sanitaria al servizio di singole unità immobiliari ad uso residenziale ed assimilate”.

Imposta municipale sugli immobili (I.M.U.)

Relativamente all’Imposta municipale propria (IMU), i fabbricati collabenti, essendo sprovvisti di rendita catastale, non sono soggetti in quanto privi dell’attitudine contributiva ai fini IMU. Tuttavia occorre anche in questo caso fare un “distinguo”: un manufatto collabente ma ancora in piedi non produce reddito IMU, mentre un manufatto già quasi raso al suolo, magari solo con poche file di mattoni fuori terra, non può più essere considerato un fabbricato e va invece valutato come area edificabile, con conseguente imponibilità sotto questo profilo (vedi Cass. 4308/2010).
Si veda anche Tassazione ai fini IMU e TASI dei fabbricati collabenti e delle aree su cui insistono (Cass. 17815/2017)
Quanto invece ai fabbricati non accatastati come “collabenti” ma semplicemente inagibili o inabitabili, questi pagano l’IMU con base imponibile ridotta al 50%, così come viene previsto dall’articolo 13 del D.L. 201/2011, comma 3, convertito dalla L. 214/2011). In questo ambito le situazioni che devono essere tenute presenti sono quindi l’inagibilità e l’inabitabilità dei fabbricati: il primo è un requisito di natura statica intrinseco al fabbricato, cioè connesso a pericoli per l’incolumità derivanti da carenze strutturali. Inabitabili sono invece i fabbricati che, pur essendo staticamente idonei, si trovano però ad essere privi delle caratteristiche igienico-sanitarie che li rendano fruibili (ad esempio, l’acqua corrente o i vetri alle finestre). La normativa in materia di IMU equipara l’inagibilità all’inabitabilità, così come in precedenza avveniva per l’ICI (art. 8 del D. Leg.vo 504/1992).
Ai fini IMU però, per ottenere il riconoscimento della riduzione della base imponibile, ai due presupposti dell’inagibilità o dell’inabitabilità deve aggiungersi un terzo requisito e cioè che i fabbricati devono essere “di fatto non utilizzati”: ciò significa che, se un’unità immobiliare considerata non agibile è comunque utilizzata (circostanza desumibile ad esempio dai consumi di acqua e luce), l’IMU deve essere versata con base imponibile piena.
Per ottenere la riduzione della base imponibile al 50%, è essere necessaria una documentazione prodotta a cura dell’ufficio tecnico comunale, con perizia i cui costi sono da porre a carico del proprietario. In alternativa, è sufficiente una dichiarazione sostitutiva così come previsto dall’art. 48 del D.P.R. 445/2000 (con dichiarazioni mendaci punite come falso ideologico).
Va anche tenuto conto che i comuni possono arginare le manovre di chi ritiene di abbassare la base imponibile attraverso situazioni di degrado scaturenti da mancata manutenzione: l’ultima parte della lettera b) del comma 3 dell’art. 13 in commento prevede infatti che gli enti locali possano specificare in appositi atti quali situazioni di fatiscenza sopravvenuta non siano superabili con interventi di manutenzione. Da tale norma si ricava che il comune ha il potere di ritenere elusivo del dovere fiscale la mera negligenza nella manutenzione, come la mancata sostituzione di vetri rotti o l’assenza di espurgo fognario. Questi comportamenti non sono quindi utili per ottenere un’inabitabilità e la riduzione della base imponibile IMU.